
29 Apr EMDR e trauma intergenerazionale: curare le ferite familiari tramandate nel tempo
Negli ultimi anni, l’interesse per il trauma intergenerazionale si è intensificato, grazie anche al crescente riconoscimento del fatto che il dolore emotivo non sempre nasce da eventi vissuti in prima persona. Molti individui portano dentro di sé ferite che non appartengono soltanto alla propria biografia, ma che affondano le radici nella storia della propria famiglia. Si parla in questi casi di traumi intergenerazionali.
Cos’è il trauma intergenerazionale?
Il trauma intergenerazionale, o trauma transgenerazionale, è un fenomeno complesso attraverso il quale le esperienze traumatiche non risolte di una generazione influenzano profondamente il benessere emotivo, relazionale e persino fisico delle generazioni successive. Questo tipo di trauma non si trasmette in modo lineare o visibile, ma piuttosto attraverso narrazioni implicite, silenzi, comportamenti, credenze e anche modificazioni biologiche a livello epigenetico.
Le teorie sistemiche, in particolare, sottolineano l’importanza del sistema familiare come contesto in cui il trauma si trasmette. Il trauma non è visto come una semplice esperienza individuale, ma come un fenomeno che coinvolge l’intero sistema familiare, influenzando le dinamiche relazionali e comunicative tra i membri. Secondo Murray Bowen, uno dei fondatori della terapia familiare sistemica, il concetto di “differenziazione del sé” è fondamentale per comprendere come il trauma possa influenzare la trasmissione intergenerazionale. Se un genitore non ha elaborato adeguatamente un trauma, può proiettare le proprie ansie e difficoltà sugli altri membri della famiglia, impedendo la creazione di una “differenziazione” sana tra i membri del sistema e creando conflitti ripetitivi che vanno a influenzare anche le generazioni future.
Salvador Minuchin, un altro importante autore sistemico, ha contribuito alla comprensione delle strutture familiari e del modo in cui i traumi invisibili possono alterare l’organizzazione familiare. Le famiglie che non riescono a fronteggiare i traumi tendono a sviluppare una rigidità nelle loro strutture, dove i confini tra i membri della famiglia diventano troppo rigidi o troppo permeabili. Questa disfunzione nelle dinamiche familiari può portare alla perpetuazione del trauma nelle generazioni successive, con i figli che assumono, in modo spesso inconscio, i ruoli o le esperienze non elaborate dai genitori.
Un altro contributo significativo arriva da Maurizio Andolfi, uno dei principali esponenti della terapia familiare sistemica in Italia. Andolfi ha esplorato a fondo come i traumi familiari si trasmettano attraverso le generazioni, enfatizzando l’importanza di un approccio che consideri non solo la dimensione individuale, ma anche quella sistemica. Secondo Andolfi, il trauma intergenerazionale si esprime attraverso la “memoria collettiva” della famiglia, che si articola nelle storie non dette, nei silenzi e nei ruoli familiari non esplicitamente definiti. Queste dinamiche familiari sono in grado di modellare la psicologia dei membri della famiglia in modo profondo e spesso inconscio. Andolfi suggerisce che, per interrompere la trasmissione di questi traumi, è fondamentale affrontare le narrazioni familiari, portando alla luce le ferite non elaborate attraverso il racconto e il confronto aperto.
Non meno importante è il lavoro di Virginia Satir, che ha evidenziato come la comunicazione e l’autoefficacia siano elementi centrali nella salute dei sistemi familiari. Secondo Satir, la trasmissione dei traumi può avvenire anche attraverso stili comunicativi disfunzionali, che bloccano la possibilità di un’espressione emotiva sana e autentica, creando nel sistema una “distorsione” della realtà familiare. La comunicazione di vissuti emotivi non elaborati o non espressi può contribuire alla perpetuazione del trauma.
Un altro autore di grande rilevanza in questo campo è David Epston, che insieme a Michael White, ha sviluppato la terapia narrativa, enfatizzando il ruolo delle storie familiari e culturali nella trasmissione dei traumi. Secondo la terapia narrativa, i membri di una famiglia possono vivere un trauma come parte di una “storia condivisa” che viene raccontata e reinterpretata di generazione in generazione. La chiave per la guarigione in questo approccio sta nel “de-narrativizzare” il trauma, ossia separarlo dall’identità familiare, creando nuove storie che permettano di liberarsi dal peso del passato.
Infine, studi recenti hanno esplorato anche l’aspetto epigenetico della trasmissione del trauma. La ricerca condotta da Rachel Yehuda e altri ha dimostrato come i traumi vissuti dai genitori possano alterare l’espressione di determinati geni, influenzando la vulnerabilità al trauma nelle generazioni successive. Questo campo, che unisce la biologia e la psicologia, apre nuove frontiere nella comprensione della trasmissione intergenerazionale del trauma, sottolineando come le esperienze traumatiche possano lasciare un’impronta biologica che si riflette sulla salute mentale dei discendenti.
Aspetti clinici del trauma intergenerazionale
I sintomi legati a questo tipo di trauma sono spesso difficili da riconoscere come parte di una storia familiare. Le persone che ne sono colpite potrebbero non sapere che il loro malessere è legato a eventi passati e non risolti dei loro genitori o antenati. I sintomi che emergono possono manifestarsi come ansia inspiegabile, sentimenti di colpa o vergogna ricorrenti, o come la convinzione di dover “riparare” o “salvare” la propria famiglia. A volte si presentano anche comportamenti di autosabotaggio o la tendenza a ripetere schemi relazionali disfunzionali, senza una consapevolezza chiara di perché accade.
Inoltre, non è raro che i traumi transgenerazionali si manifestino sotto forma di somatizzazione, dove il corpo porta con sé il peso di emozioni non elaborate. Disturbi psicosomatici cronici, come mal di testa, dolori muscolari o problemi gastrointestinali, possono avere radici più profonde, legate a ferite familiari mai affrontate.
Quando il trauma è nascosto nel sistema familiare, può essere difficile per un individuo riconoscere la sua origine e, di conseguenza, il trattamento del trauma può essere inadeguato se limitato a un approccio individuale. Lavorare su queste ferite richiede una visione che veda l’individuo non come un’isola, ma come parte di un sistema che ha una sua storia e una sua logica.
L’EMDR come ponte tra passato e presente
In questo contesto, l’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) si sta rivelando uno strumento prezioso per intercettare e rielaborare queste eredità invisibili.
EMDR è una terapia che ha dimostrato la sua efficacia nel trattamento di disturbi post-traumatici da stress, ma negli anni si è rivelata particolarmente utile anche nel trattamento di traumi complessi e relazionali, come quelli legati a esperienze familiari transgenerazionali. Grazie alla sua capacità di facilitare la rielaborazione dei ricordi traumatici, EMDR permette al cervello di integrare l’esperienza traumatica in modo sano e adattivo, superando il blocco emozionale che spesso accompagna i traumi non risolti.
Nel caso del trauma intergenerazionale, EMDR offre un’opportunità unica per portare alla luce connessioni sotterranee tra il malessere del paziente e le esperienze vissute dai suoi antenati. Attraverso l’elaborazione dei ricordi traumatici, che possono emergere durante la terapia, il paziente ha l’opportunità di affrontare e integrare queste esperienze, riconoscendo la loro influenza sulla propria vita presente. Non si tratta di colpevolizzare o di revocare giudizi sul passato, ma di dare un senso a quei vissuti che hanno generato ferite invisibili, in modo da interrompere la catena di sofferenza e creare una nuova narrazione del sé.
Un aspetto innovativo dell’EMDR, come evidenziato da Janina Fisher, esperta in traumi, è che non si lavora solo sulla dimensione cognitiva e affettiva del trauma, ma anche sulla memoria somatica. Le esperienze traumatiche non sono solo memorizzate a livello conscio, ma anche nel corpo. Le reazioni somatiche, come tensioni muscolari o risposte fisiologiche automatiche, sono manifestazioni di traumi non elaborati. EMDR, attraverso le sue stimolazioni bilaterali, aiuta il corpo a “sbloccare” queste reazioni e a rielaborarle, creando un’integrazione tra mente e corpo.
Come si lavora con EMDR e trauma intergenerazionale
Il lavoro con EMDR in contesti di trauma intergenerazionale parte spesso da esperienze personali, ma non di rado emergono ricordi, emozioni o sensazioni legate a eventi familiari passati. Questi eventi, talvolta, non sono mai stati raccontati o riconosciuti, ma si fanno sentire attraverso emozioni intense o comportamenti disfunzionali che sembrano “non avere causa”. L’EMDR aiuta a fare chiarezza su queste connessioni, consentendo al paziente di comprendere meglio come la storia familiare stia influenzando il suo benessere emotivo.
Durante la terapia, le stimolazioni bilaterali favoriscono l’elaborazione di ricordi traumatici che sono rimasti bloccati nel tempo, permettendo alla persona di liberarsi dal peso di esperienze non elaborate. Attraverso questo processo, EMDR non solo aiuta a risolvere i traumi personali, ma offre anche la possibilità di “ri-scrivere” la storia familiare, dando al paziente una nuova visione del proprio vissuto e un maggiore senso di pace e integrazione.
Conclusione
Il trauma intergenerazionale è un fenomeno complesso che può compromettere la salute mentale e fisica delle persone attraverso molteplici generazioni. L’EMDR, con la sua capacità di rielaborare i traumi, si sta rivelando uno strumento potente nel trattamento di queste ferite invisibili, consentendo alle persone di affrontare il dolore passato e creare nuove possibilità per le generazioni future. Intervenire sul trauma intergenerazionale non significa solo guarire una singola persona, ma interrompere cicli di sofferenza che potrebbero durare per decenni, permettendo alle famiglie di costruire una narrazione più sana e consapevole del proprio vissuto.